L’enorme successo del Festival che si è appena concluso (share medio 63,1%, il più alto che si ricordi) forse non è completamente merito della conduzione di Amadeus, delle canzoni o delle sorprese che, sera dopo sera, lo hanno contraddistinto. In fondo le polemiche fanno parte del “pacchetto Sanremo”: non passa edizione che non si assista ad una “interpretazione politica” dello spettacolo. Tanto maggiore quanto maggiore è il successo della manifestazione. Fermo restando che, nel caso di insuccesso, le polemiche ci sarebbero comunque. Di certo, ma lo si sapeva già, Sanremo non è “solo canzonette”, se vero che se ne parla a tutti i livelli: politici, culturali, musicali, di gossip.
Forse una delle ragioni è che c’è voglia di “evasione”. Arriviamo da anni che hanno messo a dura prova la nostra “resilienza”, o per lo meno le nostre certezze. Vicende come il Covid prima, la guerra poi, l’inflazione ora, hanno minato il nostro quotidiano. In fondo, a pensarci, il festival è un evento, se non un rito, “collettivo”: tutti, bene o male, chi più chi meno, sappiamo di cosa si sta parlando, ed è oggetto di almeno qualche battuta.
Da oggi, almeno da noi, si torna a discutere dei temi soliti. A partire, appunto, dalle vicende economiche, con inflazione e crescita che continuano a camminare a braccetto.
Che il caro prezzi possa aver raggiunto il picco è un dato che comincia a farsi largo tra molti economisti e analisti. Il 2022 si è chiuso con una media, a livello UE, dell’8,4%, mentre in Italia è stata leggermente superiore (8,7%). E i dati di gennaio sembrano confermare la tendenza, favorita dal continuo calo delle materie energetiche. Lo stesso Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, in un intervento tenuto durante una conferenza in Inghilterra, ha avuto modo di dire che siamo ben lontani dalla situazione vissuta negli anni 80, quando l’aumento dei prezzi durò ben oltre il decennio, arrivando, negli anni 80, a picchi “sudamericani”. Un invito neanche troppo velato alla BCE affinchè non schiacci troppo “l’acceleratore”, rischiando di far piombare l’area €uro nella recessione o, ancora peggio, in una stagflazione, vale a dire il “connubio” tra prezzi elevati e mancanza di crescita. Un rischio per ora piuttosto remoto, visto che non si è arrivati a toccare neanche una recessione “tecnica”, cioè due trimestri consecutivi con il segno meno. Le previsioni aggiornate ci dicono che, a livello di Eurozona, l’inflazione dovrebbe essere, per il 2023, al di sotto del 6,1% medio stimato a novembre. Da notare che il mercato del lavoro, fattore particolarmente importante, è rimasto “impermeabile” all’andamento fatto registrare dal PIL, in calo rispetto al 2021: infatti, la percentuale dei disoccupati ha toccato, nel terzo trimestre 2021, il minimo storico del 6,7%, percentuale che, per il 2023, potrebbe risalire un pochino. Aspetto non secondario, oltre che da un punto di vista sociale (l’impennata della disoccupazione è sempre fronte di tensioni), anche per quello che riguarda le dinamiche salariali, con la “pressione” sulle buste paga che continua a non farsi sentire, aiutando non poco le banche centrali nella loro “campagna” per abbattere i prezzi. Quindi, “adelante con juicio”: questo il parere del nostro Governatore, membro, ricordiamolo, del board della Banca Centrale Europea e, di fatto, leader del fronte di coloro che spingono per una maggior moderazione da parte di Christine Lagarde, negli ultimi mesi più schierata con chi vuole perseverare con il rigore.
La settimana si apre con la borsa giapponese debole (Nikkei – 0,88%), mentre è in corso l’individuazione del successore della Bank of Japan.
Di segno opposto Shanghai, che sale dello 0,72%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng si aggira intorno alla parità.
Futures europei contrastati, comunque con movimenti marginali. In leggero ribasso quelli americani, per quanto in recupero rispetto alle prime ore della mattinata.
In leggero arretramento, questa mattina, il petrolio: troviamo il WTI a $ 78,93, – 1,10%.
In salita il gas naturale americano, a $ 2,565, + 1,87%.
Piatto l’oro, a $ 1.876,20.
Le nuove tensioni politiche sembrano non toccare lo spread, che rimane ben saldo in area 185 bp (184,2). Rendimento del BTP sempre intorno al 4,20%.
Treasury Usa a 3,73%.
In rafforzamento il $, a 1,0686 vso €.
Poco mosso il bitcoin, a $ 21.874 ( + 0,39%).
Ps: ben conosciamo l’attualità della battagli sul clima e per tutto ciò che riguarda la sostenibilità. Un numero può ulteriormente aiutare a fari capire di cosa si sta parlando. Ogni anno, nel mondo, si producano 350 ML di tonnellate di rifiuti di plastica, di cui tra gli 8 e i 13 ML finiscono in mare. Si calcola che negli oceani oggi ci siano qualcosa come 150 ML di tonnellate di rifiuti di plastica, la stragrande maggioranza trasportata dai fiumi. Un ulteriore studio cui dice che l’80% proviene dalla Cina, un 5% da Europa e Nord America, mentre il 15% da altri Paesi del mondo.